Magia e Fantasia

Sei molto più forte di quanto sai… molto più saggio di quanto credi… Ciò che prima era la tua vita… ora è leggenda. – Eragon –

La magia e la fantasia” disse sua nonna “ormai non esistono quasi più nel cuore delle persone.. gioia mia..” “ Ma come è possibile, esistono realmente fate, maghi, streghe, scope volanti..” la interruppe Rebecca, una bambina dolcissima, ancora inconsapevole della realtà, che non vedeva altro, in tutto quello che scorgeva con quei profondi occhioni verdi, se non un sogno fantastico.. “Eh, Rebecca questo è quello che la gente crede, o che vuole credere, è bello poter credere nelle fate, immaginandole come piccole farfalline che rendono la tua vita stupenda.. Esse sono solo la concretizzazione di una magia più pura, invisibile ad ognuno che la cerchi, essa si nasconde nel più piccolo gesto della natura, nel più bel sorriso che tu possa regalare per rendere felice una persona cara..” “concreta.. concretizzare.. cosa?” “rendere reale, vero. Pensa a qualcuno che immagina una mela su un albero, finché non la va a cogliere questa non si è “concretizzata”, resta solo un desiderio della sua mente, eh , anche del suo stomaco dopotutto!” “Ma allora le fate esistono?” L’esile corpicino accovacciato sulle timide gambe della nonna non capiva perché le stesse negando l‘ESISTENZA di questo, lei che fin da piccola aveva creduto a questi esseri magici, misteriosi, soprannaturali, e continuava a crederci tuttora. Vi erano tanti tipi di fate secondo lei, come quella del dentino, per esempio, anche se non tutte erano uguali, c’erano infatti quella più smemorata e quella più puntuale, e lei finora non si era mai lamentata della sua.., come c’erano anche quelle che noi nel nostro immaginario collettivo tendiamo a creare.. Qualche volta si perdeva nei suoi pensieri, a fantasticare come questa potesse essere.. Alta, con due ali enormi, un vestito stupendo, quasi impalpabile, proprio da sogno.. (celeste ovviamente, lei adorava il celeste), quasi come la fata Turchina, a parte il fatto che non aveva bisogno di trasformarla in un vero bambino, già lo era.. La nonna Rosalina aspettò un poco prima di rispondere, poiché la vedeva così assorta, accovacciata sulle sue gambe proprio come un gattino, e qualunque cosa pensasse, si vedeva che era piacevole, piacere però velato da un leggero dubbio che tentava di insinuarsi, ma che veniva scacciato subito da un sorriso. Era una signora anziana, la nonna Rosalina, anche se portava bene la sua età, che adorava raccontare storie alla sua cara nipotina, che ormai da qualche anno passava sempre più spesso per ascoltarla. La casa in cui viveva era piccola ma accogliente, e nell’entrarvi si veniva inebriati da quel profumo caratteristico della nonna, misto all’odore di antico, che proveniva dai mobili e che risvegliava una sorta di voglia, di curiosità per il passato, per ciò che era accaduto, i sentimenti, le emozioni, i dolori a cui tutto l’ambiente aveva assistito e che rilasciava gradualmente, producendo un’alchimia misteriosa tra passato e presente, tra i ricordi e le persone care.

Rebecca si divertiva un mondo in quella casa così tranquilla e ricca di mistero, di magia quasi, aggiungerei, che avvolgeva inconsciamente chiunque vi entrava, e in particolare l’animo sensibilmente fantasioso della ragazzina. Le piaceva quando aveva il permesso di curiosare tra tutti quegli oggetti e il posto che adorava di più (forse perché le permetteva di vagare con la fantasia) era appunto la soffitta. Anche se un po’ polverosa, per via del fatto che la nonna oramai non aveva più la forza di pulirla, e la donna che l’aiutava, quasi non osava profanare quel luogo così “sacro” probabilmente questo contribuiva a renderla ancora più intrigante per Rebecca, che approfittava solitamente nei pisolini della nonna per curiosare, oppure si offriva di pulirla, per quel poco che poteva, ma in realtà era più il tempo che passava su questo o quell’oggetto, soffermandosi su un album di foto di quando la nonna era giovane, per poi solitamente commentarlo insieme a lei più tardi; oppure nel provarsi un bel vestito o un bel cappello tutto ricoperto di piume davanti a quello specchio in cui a mala pena ci si poteva distinguere, non che le importasse molto l’immagine nitida, ma che nonostante ciò per lei conservava tutt’ ora lo splendore di un tempo. E così nel chiedere di raccontarle la storia celata dietro ogni oggetto, spesso triste, spesso felice, ella si lasciava affascinare dai ricordi del passato, e veniva trascinata così fortemente che le pareva quasi di partecipare a questo o quell’aneddoto con sua nonna. Era così che aveva trovato quel giorno, quello strano oggetto che ora reggeva tra le sue manine rosate, che l’aveva subito catturata, quasi possedesse esso stesso vita e che sembrava provenire da tutto un altro mondo. Anche se sua nonna era paziente e deliziata dalla curiosità della nipotina per questi ricordi, decise di interrompere i pensieri della bambina, che si vide catapultata nel mondo presente e quasi per un breve momento rimase allibita di fronte a questo brusco cambiamento di realtà. “Mia cara non sto cercando di negare che le fate esistano”- disse quasi intuendo i suoi pensieri- “ma di farti capire che non è tutto come molti di noi oggi credono     … ”  [to be continued]

La danza del sole e della luna

Possiamo trovarci in posti differenti su questa terra, tenuti separati da oceani, eppur poter guardare la stessa luna. Seppur vista da infinite angolazioni, essa volge a noi sempre la stessa faccia. È colei che prende parte inconsapevole agli amori, alle guerre, ai molteplici accadimenti, a molti in contemporanea, quasi sommersa da essi e dalle parole nelle poesie, nei canti, nei racconti dedicatele nei secoli passati e che le saranno offerte in quelli a venire.

Per questo il sole interviene e ne prende il posto, sia per renderle più facile il compito, sia per un po’ di invidia per colei che è la ‘stella’ del cielo. A lui non si rivolgono gli innamorati.. Egli raramente può assaporare la tranquillità, sempre così immerso nella vita frenetica del mondo che illumina. Un tempo i popoli lo veneravano, adesso parte della sua fama è andata perduta.

La luna spesso gli ricorda che se lei si occupa dei sogni, lui si occupa della realtà. rende possibile la vita, riscalda i cuori e i corpi. Ed inoltre è sempre presente anche se le nuvole dispettose lo celano a volte. La luna stessa invece cresce o cala, c’è e non c’è a seconda di come le pare.

Il sole le riconobbe ciò certamente, la ringraziò per i consigli e le disse, che per quanto potesse invidiarla, apprezzava le sue qualità. Essa seppur spariva lo faceva con elegante costanza, si sapeva che sarebbe tornata. Si vedeva che essa si divertiva a mutar sempre forma, e questo le disse, era uno spunto in più per far sognare.

Nonostante tutto ciò e seppur brillasse di luce propria e gli spettasse il compito di illuminare anche la luna, il sole, ancora, si sentiva solo. A differenza di essa, non poteva godere della compagnia delle sue lontane sorelle stelle.

Anche per questo propose alla luna di trovarsi insieme nel cielo nello stesso tempo. Lui voleva sperimentare come fosse comparire di notte, la luna incuriosita dalla proposta volle scoprire invece come fosse comparire di giorno, per capire di più la vita del suo ‘solitario’ compare.

Le propose di incontrarsi talvolta in cielo. Voleva anche sperimentare cosa sarebbe accaduto se avessero unito le loro forze. E così tentarono una volta durante il giorno, e provarono invece in seguito a comparire insieme durante la notte.

Questa danza fatta con i loro tempi, in cui si trovarono a volteggiare fino a sovrapporre i loro passi, li divertì tanto che decisero di ripeterla ogni tanto.

Fu buffo per loro poter vedere le reazioni sulla terra, tutti i sentimenti che suscitavano. Gli umani erano creature strane, così dipendenti da loro, dalla routine, che quando essi decisero di sconvolgere un po’ il cielo, andarono in crisi. C’era chi annunciò la fine del mondo, chi rimase affascinato dallo spettacolo che dettero, chi curioso formulò teorie.

Soddisfatti dello scompiglio creato sole e luna tornarono alla loro vita quotidiana, consapevoli che ognuno aveva un compito differente, che ognuno separatamente aveva il suo ruolo e che poi insieme potevano suscitare i sentimenti più disparati..

Appianate le ‘divergenze’ e soddisfatte le curiosità, decisero di godersi appieno la loro danza, sostenendosi e scoprendosi a vicenda nel balletto della loro esistenza.

Anche i sogni diventano realtà

Mi ritrovai a passeggiare, in un’afosa giornata di agosto, per le strade del centro, verso via Garibaldi, dove la strada tende a formare una dolce curva. Pensavo a come sarebbe stato bello potermi ritrovare nello stesso punto fra un centinaio di anni.. Avrei, allora, guardato indietro e commentato come avevo fatto finora guardando le vecchie foto di mia nonna..

Da quei tempi l’atmosfera della città era un poco cambiata anche se quest’ultima riusciva a mantenere invariate nel tempo la propria attrazione e bellezza. Mi sedetti allora sui gradini di un portone e mi guardai intorno.. Quasi tutta la città sembrava deserta tra chi era in vacanza e chi era in casa a riposare per il caldo. Regnava una pace quasi surreale che avvolgeva tutta la città. Quando uno inizia a sognare a occhi aperti, il tempo trascorre velocemente e così, quando mi rialzai, il sole aveva già deciso di tingere il cielo estivo di diversi colori pastello per cedere poi il posto alla regale luna.

Quando, ora che ci ripenso mi fa ancora più piacere, immaginai la mia città, come immaginare d’altronde è naturale per tutti i bambini, ancora immersi nel mondo dei sogni mentre aspettano che la fatina avveri i loro desideri, questa manteneva sostanzialmente il suo aspetto deciso e al tempo stesso confortevole e gaio che aveva sempre posseduto. Certo non vi erano più tutte quelle macchine che turbavano la quiete di quei gatti che adoravano sonnecchiare sul davanzale di una finestra. Anche per i ragazzi era più facile ottenere il permesso di giocare una partitina fra amici sotto casa senza che le madri si dovessero preoccupare..

Spesso avevo sognato, anzi sperato, da piccola di poter uscire a giocare in piazza e magari raggiungere le mie amiche in centro in groppa ad un cavallo che avrei poi lasciato alle cure di qualcuno in piazza del Comune e avrei attaccato le briglie a quei grossi anelli di ferro che erano disposti sui palazzi e che da sempre mi ero chiesta il perché della loro presenza. Sarebbe bello poter passeggiare, e non parlo solo del centro, ma anche dei dintorni, con il cinguettio degli uccellini e il canto dei grilli che fanno da sottofondo ad un’afosa giornata, tra il verde che avanza sempre di più, ad ogni anno che passa, e la cui presenza si fa sempre più evidente, viva. C’è da aggiungere poi che il verde era il mio colore preferito, non solo perché rilassante, ma anche per quella sua naturale sensualità. Vi era nel verde una sorta di spirito magico che riusciva a catturare l’attenzione e a rendere quasi inefficaci a ogni controllo i sensi, divenuti ormai un tutt’uno con la natura.

Pensavo questo quando improvvisamente mi accorsi di essere capitata in P.za Mercatale, non avevo “fisicamente” fatto molta strada e la realtà si presentò brusca ai miei occhi. Questa piazza, che avevo sempre considerato troppo trafficata e che oltre ad avere un grosso parcheggio era piena, alla sera, di figure poco raccomandabili, adesso, vuota, (bè non proprio perché ancora qualche macchina c’era) mi appariva più grande e nella mia immaginazione era divenuta luogo in cui ragazzi e ragazze potessero ritrovarsi e i bambini giocare a pallone con pieno relax delle mamme dopo una giornata di lavoro. Sapevo che un tempo, prima che fosse trasferito in p.za del mercato nuovo, il mercato aveva la sua sede qui e questa piazza così bella vista dall’alto nelle foto panoramiche, appariva ora poco curata e perdeva parte del suo fascino dovuto alla distanza, e nonostante fossero stati fatti grossi cambiamenti e molti miglioramenti, appariva ancora poco vivibile. Non dico che tutto doveva essere totalmente diverso, ma la mia mente con le sue continue divagazioni, mi poneva di fronte a questioni a cui non avevo mai pensato o dato la minima importanza.

Fu in quel momento che una visione da sogno mi folgorò. Era un ragazzo alto, con un atteggiamento e un volto da far perdere la ragione. Il ragazzo dei miei sogni. Non potevo dire quale fosse il colore dei suoi capelli, perché come molti facevano in questo periodo per il gran caldo, li aveva tagliati a zero, ma me li immaginavo marroni, come i suoi occhi, profondi e intriganti. Lasciò dietro di se una scia di un non so che, che aveva provocato in me una tale attrazione da spingermi a seguire i suoi passi per un’inspiegabile ragione.. Attraversò la strada e si diresse verso il cuore della città passando di fronte al teatro, per poi dirigersi verso piazza san Francesco, alla scuola di musica, nella quale entrò. Ero sempre stata affascinata dalle melodie che riuscivano ad evadere quelle mura, quando mi ritrovavo a dover passare di lì. Ma non potevo più rimanere in quel posto, persa in una totale adorazione come di fronte a ciò che non si conosce, che sempre attrae.. Bisognava infatti che tornassi prima o poi a casa, e per non destare sospetti, dei quali ero l’unica a sospettare, abbandonai quella visione con la promessa di tornare.

L’indomani passai di lì e così anche i giorni successivi. Quanto avrei voluto giungere lì più rapidamente, avevo infatti dovuto aspettare per lungo tempo il mio autobus, sarebbe stato più facile se non avesse sempre tardato molto.. Girava voce che la città volesse o avesse già fatto un progetto per un tram o anche una metropolitana, ma nonostante la mia fretta, avrei preferito di gran lunga altre soluzioni. La mia città era bella per la sua semplicità, per l’intrigo delle vie e per la possibilità che uno aveva di potervi passeggiare immerso nelle sue tipiche fattezze e profumi -ehh l’odore del pane appena sfornato..- che davano l’impressione di essere ancora in un epoca lontana..

Ma ritorniamo al “mio” lui. Non lo avevo più visto e non lo rividi più per molto tempo. Passarono le stagioni, i mesi, le settimane e perfino i giorni, ma di lui nessuna traccia.. Era svanito nel nulla, come dal nulla era apparso. Eppure nonostante il destino mi fosse ostile, sentivo che l’avrei rivisto.. Certe cose si sanno, sono implicite nel nostro essere. Fu così che una fredda e pungente mattina di Novembre, mi recai alla nuova biblioteca che avevano da poco costruito. Presi un caffè per riscaldarmi e un lieve tepore invase il mio corpo, una sensazione stupenda, e cercai tra le immense file di scaffali pieni di volumi, una goduria per gli occhi di chi adora leggere, alcuni libri che la nostra professoressa ci aveva dato da leggere in preparazione ad un saggio che dovevamo fare sulla nostra città.

Sin dalla prima volta che avevo messo piede in una biblioteca e poi per gli anni a venire che mi videro un’assidua frequentatrice, ero sempre stata affascinata dal gran numero di studenti che ne riempivano i locali, donando una sorta di anima alla biblioteca, che prendeva vita, ma soprattutto dal silenzio, che qui regnava sovrano.

Migliaia di persone che andavano e venivano, che lì studiavano, facevano amicizia, tutti diversi eppure con in comune il silenzio, i loro movimenti erano felpati e talvolta non si riusciva quasi a percepire il loro respiro, tanto che anche il più piccolo rumore risuonava ampliato spropositatamente.

Fu lì che lo rividi. Curiosava tra gli scaffali, avrei voluto dire qualcosa ma il silenzio mi impediva quasi di parlare, qualunque parola sarebbe risultata strana e probabilmente fuori luogo. E poi, avevo paura di dire qualcosa, mi limitai ad osservarlo, all’inizio.

Era quasi incredibile, il mio voler scoprire la città in cui vivevo, mi aveva portato a incontrare la persona che consideravo legata a me in qualche modo pur non conoscendola affatto.

Non avevo sempre vissuto a Prato, ma da più di una decina di anni a questa parte era divenuta la mia casa, l’avevo trovata piuttosto confortevole, nonostante ancora necessitasse di miglioramenti, ma questo è normale per ogni città che si rispetti e che punti al progresso e alla valorizzazione del suo territorio.

Speravo che prima o poi la città si decidesse a voler ritornare alle proprie radici, rafforzandole e allo splendore che possedeva, almeno un tempo, il borgo medievale.

Si doveva fare qualcosa. Presi coraggio e mi avvicinai con il cuore che non riusciva più a stare al suo posto, e chiesi un’indicazione per la sezione che trattava la storia della città, (la biblioteca era grande ed era un’impresa ardua non perdersi). Mi disse che anche lui la stava cercando. Iniziammo così a chiacchierare del più e del meno, si poteva comunque parlare a bassa voce senza così disturbare la presenza dell’autorevole silenzio.

Tornai più spesso del solito in biblioteca, quando lo studio me lo permetteva, ed egli fece ugualmente. Discorrevamo un po’ di tutto, della scuola, della nostra famiglia, dei nostri interessi, il suo era la musica, e della città che in quel periodo aveva iniziato ad apportare cambiamenti sul proprio territorio, più di quanto già non facesse..

Più mi avvicinavo a lui, più lo conoscevo, più approfondivo anche il mio legame con la città. Continuammo infatti le nostre ricerche insieme, ed un giorno mi accorsi che i suoi capelli erano marroni e riccioli, solitamente il così detto sesto senso non sbaglia mai.. Sembrava inoltre che la crescita della nostra amicizia, sempre più forte, andasse di pari passo con la città che lentamente si stava trasformando nella città in cui sempre avevo desiderato di vivere.. Ed è proprio vero quel che si dice: che, con tanta volontà, ed un pizzico di fortuna, anche i sogni possono diventare realtà!

Concorso del Comune di Prato “La città che vorrei”, 2005

See the world through travelled eyes

Lentamente dischiuse gli occhi… Era mattina presto, un tiepido sole già le riscaldava il volto, mentre il caldo si iniziava a fare sentire, e lei si lasciava cullare da quel sottofondo – ormai familiare- che il rumore del motore produceva. Tutto sembrava scorrere più lentamente, forse perché l’estate era cominciata e aveva portato con sé, aveva fatto riaffiorare quella tranquillità tipica dei paesini nostrani. La vita frenetica si fermava per quei pochi mesi e concedeva, per quel breve periodo, di poter finalmente respirare. Ormai erano iniziate le “vacanze” (“ah, – sospirò al solo pensiero, – le vacanze..”), la scuola era finita ed erano rimasti in pochi, tra quelle facce ormai note a percorrere il tragitto insieme a lei. Il “gruppo” così detto “lam” che si era creato, per il momento non c’era.. Un po’ le mancava quell’allegra combriccola che allietava le sue giornate.. Il bello del compiere un viaggio assieme ad altre persone – che per quel periodo entrano a far parte della tua vita, cambiandola, migliorandola – è appunto il poter conoscere gli interessi comuni e non, lo scambiarsi opinioni e soprattutto fare amicizia.. Sono quegli incontri che possono cambiare la vita di una persona, farle prendere il coraggio di affrontare cose che prima non avrebbe mai pensato di fare da sola, magari farti credere di più in te stessa e in valori che stavi perdendo. Si creano così quelle amicizie che ti cambiano, passeggere come un temporale, ma che dopo lasciano quella piacevole sensazione, ti riportano a galla quei ricordi, spesso nostalgici, ma che fanno nascere un sorriso sulle labbra..

Cosi tante persone diverse tra loro, anche se tutte non sempre riescono a entrare in sintonia tra loro, c’era chi era un po’ l’anima del gruppo, chi era un attento ascoltatore, chi faceva domande o scherzava, chi infine sonnecchiava, tanti aspetti così diversi messi tutti assieme, raggruppati in una sola entità. Il mondo è così vasto (immenso! nel suo piccolo) e lei era appena uscita da quel suo piccolo guscio e vi stava avventurando, stupita dalle più semplici cose e attratta da tutte quelle sfaccettature di cui era ricca qualsiasi cosa che la circondava, e a cui riusciva a fare caso in questo momento persa tra i meandri della sua mente..

Spesso capitava che non ci fossero tutti, che fossero in pochi e questo le aveva dato la forza, il coraggio di aprirsi un poco e parlare, cosa che le riusciva difficile, anche se adorava ascoltare, era piacevole sentire i piccoli racconti delle persone, quelle quotidianità, gli avvenimenti che gli accadevano che potevano sembrare banali, ma che in quel momento per loro erano importanti e non dovevano essere sminuiti, tutto può essere importante anche la più piccola cosa, è quella piccola goccia che insieme a tutte le altre crea l’oceano.. Adesso era da “sola” e questo le dava la possibilità di pensare, di ritrovare un po’ se stessa, lontano dalla caoticità della città o dell’università (anch’essa in questo periodo praticamente deserta..). Ognuno di noi ha bisogno, necessita di un po’ di tempo da dedicare a se, per allontanarsi da tutto e guardare la propria vita sotto un altro punto di vista, apparentemente più distaccato, ma in realtà così profondo e intenso, tale da permettegli di avvicinarsi di più al suo vero io, di comprendersi.. Adesso fuori dal finestrino, mentre era persa nei i suoi pensieri, vedeva scorrere quel panorama che ormai conosceva e la faceva sentire un po’ a casa, proprio come quando uno torna da un viaggio lontano e rivede le strade della sua città, quella era un po’ la sensazione che provava; aveva notato però che quei paesaggi si stavano evolvendo, cambiando, come lei, niente rimane esattamente uguale quando torni da un viaggio perché il viaggio ti ha cambiato, ti ha portato a conoscere e a scoprire nuove cose, e il fatto che tu sia cambiato, fa apparire tutto il mondo diverso attraverso i tuoi occhi..

Era rilassante e rassicurante il sapere di avere una meta (un arrivo, una destinazione), non solo la fermata in sé, quella concreta di arrivo, ma uno scopo nella vita, un qualcosa nella tua giornata che sai che sarà li ad aspettarti quando torni (o arrivi), un qualcosa di solido a cui aggrapparsi, tutti noi abbiamo bisogno di avere delle certezze nella vita e l’avere una meta aiuta a saldare fortificare questa certezza.

L’aprirsi e il chiudersi delle porte, con quel tipico rumore che le ricordava tanto lo stantuffo dei treni di una volta, era lì a scandire le tappe del suo viaggio, e metaforicamente della sua vita a darle una regolarità.. Inoltre non sapevi mai chi poteva apparire di nuovo (era sempre una sorpresa!), quali personaggi particolari avrebbero compiuto il viaggio con te, oltre alle facce che fanno parte della tua quotidianità.

Come la vita il viaggio poteva essere ricco di imprevisti, di sorprese e di occasioni da cogliere al volo (cosa che letteralmente le capitava di fare – prendere l’autobus al volo -, all’inizio l’organizzazione non era il suo forte, come la puntualità, ma per forza di cose, se voleva arrivare a destinazione, era riuscita ad essere più puntuale ed a saper adattare la sua giornata anche attorno a agli orari.

In qualche modo questo le aveva fatto imparare che nella vita non si poteva sempre aspettare che gli altri facessero per lei o che ti aspettino, non sempre accade. L’autobus era così. Non ti aspetta, è lì, passa sul tuo percorso, ti aiuta, ti fa arrivare a destinazione, ma sei tu in primo luogo a dover saperlo “cogliere”, a stare attenta a non perderlo. Bisogna saper cogliere le opportunità e le occasioni che si presentano nella vita perché una volta che sono passate saranno perse per sempre non torneranno indietro, è per questo che bisogna agire.