Anche i sogni diventano realtà

Mi ritrovai a passeggiare, in un’afosa giornata di agosto, per le strade del centro, verso via Garibaldi, dove la strada tende a formare una dolce curva. Pensavo a come sarebbe stato bello potermi ritrovare nello stesso punto fra un centinaio di anni.. Avrei, allora, guardato indietro e commentato come avevo fatto finora guardando le vecchie foto di mia nonna..

Da quei tempi l’atmosfera della città era un poco cambiata anche se quest’ultima riusciva a mantenere invariate nel tempo la propria attrazione e bellezza. Mi sedetti allora sui gradini di un portone e mi guardai intorno.. Quasi tutta la città sembrava deserta tra chi era in vacanza e chi era in casa a riposare per il caldo. Regnava una pace quasi surreale che avvolgeva tutta la città. Quando uno inizia a sognare a occhi aperti, il tempo trascorre velocemente e così, quando mi rialzai, il sole aveva già deciso di tingere il cielo estivo di diversi colori pastello per cedere poi il posto alla regale luna.

Quando, ora che ci ripenso mi fa ancora più piacere, immaginai la mia città, come immaginare d’altronde è naturale per tutti i bambini, ancora immersi nel mondo dei sogni mentre aspettano che la fatina avveri i loro desideri, questa manteneva sostanzialmente il suo aspetto deciso e al tempo stesso confortevole e gaio che aveva sempre posseduto. Certo non vi erano più tutte quelle macchine che turbavano la quiete di quei gatti che adoravano sonnecchiare sul davanzale di una finestra. Anche per i ragazzi era più facile ottenere il permesso di giocare una partitina fra amici sotto casa senza che le madri si dovessero preoccupare..

Spesso avevo sognato, anzi sperato, da piccola di poter uscire a giocare in piazza e magari raggiungere le mie amiche in centro in groppa ad un cavallo che avrei poi lasciato alle cure di qualcuno in piazza del Comune e avrei attaccato le briglie a quei grossi anelli di ferro che erano disposti sui palazzi e che da sempre mi ero chiesta il perché della loro presenza. Sarebbe bello poter passeggiare, e non parlo solo del centro, ma anche dei dintorni, con il cinguettio degli uccellini e il canto dei grilli che fanno da sottofondo ad un’afosa giornata, tra il verde che avanza sempre di più, ad ogni anno che passa, e la cui presenza si fa sempre più evidente, viva. C’è da aggiungere poi che il verde era il mio colore preferito, non solo perché rilassante, ma anche per quella sua naturale sensualità. Vi era nel verde una sorta di spirito magico che riusciva a catturare l’attenzione e a rendere quasi inefficaci a ogni controllo i sensi, divenuti ormai un tutt’uno con la natura.

Pensavo questo quando improvvisamente mi accorsi di essere capitata in P.za Mercatale, non avevo “fisicamente” fatto molta strada e la realtà si presentò brusca ai miei occhi. Questa piazza, che avevo sempre considerato troppo trafficata e che oltre ad avere un grosso parcheggio era piena, alla sera, di figure poco raccomandabili, adesso, vuota, (bè non proprio perché ancora qualche macchina c’era) mi appariva più grande e nella mia immaginazione era divenuta luogo in cui ragazzi e ragazze potessero ritrovarsi e i bambini giocare a pallone con pieno relax delle mamme dopo una giornata di lavoro. Sapevo che un tempo, prima che fosse trasferito in p.za del mercato nuovo, il mercato aveva la sua sede qui e questa piazza così bella vista dall’alto nelle foto panoramiche, appariva ora poco curata e perdeva parte del suo fascino dovuto alla distanza, e nonostante fossero stati fatti grossi cambiamenti e molti miglioramenti, appariva ancora poco vivibile. Non dico che tutto doveva essere totalmente diverso, ma la mia mente con le sue continue divagazioni, mi poneva di fronte a questioni a cui non avevo mai pensato o dato la minima importanza.

Fu in quel momento che una visione da sogno mi folgorò. Era un ragazzo alto, con un atteggiamento e un volto da far perdere la ragione. Il ragazzo dei miei sogni. Non potevo dire quale fosse il colore dei suoi capelli, perché come molti facevano in questo periodo per il gran caldo, li aveva tagliati a zero, ma me li immaginavo marroni, come i suoi occhi, profondi e intriganti. Lasciò dietro di se una scia di un non so che, che aveva provocato in me una tale attrazione da spingermi a seguire i suoi passi per un’inspiegabile ragione.. Attraversò la strada e si diresse verso il cuore della città passando di fronte al teatro, per poi dirigersi verso piazza san Francesco, alla scuola di musica, nella quale entrò. Ero sempre stata affascinata dalle melodie che riuscivano ad evadere quelle mura, quando mi ritrovavo a dover passare di lì. Ma non potevo più rimanere in quel posto, persa in una totale adorazione come di fronte a ciò che non si conosce, che sempre attrae.. Bisognava infatti che tornassi prima o poi a casa, e per non destare sospetti, dei quali ero l’unica a sospettare, abbandonai quella visione con la promessa di tornare.

L’indomani passai di lì e così anche i giorni successivi. Quanto avrei voluto giungere lì più rapidamente, avevo infatti dovuto aspettare per lungo tempo il mio autobus, sarebbe stato più facile se non avesse sempre tardato molto.. Girava voce che la città volesse o avesse già fatto un progetto per un tram o anche una metropolitana, ma nonostante la mia fretta, avrei preferito di gran lunga altre soluzioni. La mia città era bella per la sua semplicità, per l’intrigo delle vie e per la possibilità che uno aveva di potervi passeggiare immerso nelle sue tipiche fattezze e profumi -ehh l’odore del pane appena sfornato..- che davano l’impressione di essere ancora in un epoca lontana..

Ma ritorniamo al “mio” lui. Non lo avevo più visto e non lo rividi più per molto tempo. Passarono le stagioni, i mesi, le settimane e perfino i giorni, ma di lui nessuna traccia.. Era svanito nel nulla, come dal nulla era apparso. Eppure nonostante il destino mi fosse ostile, sentivo che l’avrei rivisto.. Certe cose si sanno, sono implicite nel nostro essere. Fu così che una fredda e pungente mattina di Novembre, mi recai alla nuova biblioteca che avevano da poco costruito. Presi un caffè per riscaldarmi e un lieve tepore invase il mio corpo, una sensazione stupenda, e cercai tra le immense file di scaffali pieni di volumi, una goduria per gli occhi di chi adora leggere, alcuni libri che la nostra professoressa ci aveva dato da leggere in preparazione ad un saggio che dovevamo fare sulla nostra città.

Sin dalla prima volta che avevo messo piede in una biblioteca e poi per gli anni a venire che mi videro un’assidua frequentatrice, ero sempre stata affascinata dal gran numero di studenti che ne riempivano i locali, donando una sorta di anima alla biblioteca, che prendeva vita, ma soprattutto dal silenzio, che qui regnava sovrano.

Migliaia di persone che andavano e venivano, che lì studiavano, facevano amicizia, tutti diversi eppure con in comune il silenzio, i loro movimenti erano felpati e talvolta non si riusciva quasi a percepire il loro respiro, tanto che anche il più piccolo rumore risuonava ampliato spropositatamente.

Fu lì che lo rividi. Curiosava tra gli scaffali, avrei voluto dire qualcosa ma il silenzio mi impediva quasi di parlare, qualunque parola sarebbe risultata strana e probabilmente fuori luogo. E poi, avevo paura di dire qualcosa, mi limitai ad osservarlo, all’inizio.

Era quasi incredibile, il mio voler scoprire la città in cui vivevo, mi aveva portato a incontrare la persona che consideravo legata a me in qualche modo pur non conoscendola affatto.

Non avevo sempre vissuto a Prato, ma da più di una decina di anni a questa parte era divenuta la mia casa, l’avevo trovata piuttosto confortevole, nonostante ancora necessitasse di miglioramenti, ma questo è normale per ogni città che si rispetti e che punti al progresso e alla valorizzazione del suo territorio.

Speravo che prima o poi la città si decidesse a voler ritornare alle proprie radici, rafforzandole e allo splendore che possedeva, almeno un tempo, il borgo medievale.

Si doveva fare qualcosa. Presi coraggio e mi avvicinai con il cuore che non riusciva più a stare al suo posto, e chiesi un’indicazione per la sezione che trattava la storia della città, (la biblioteca era grande ed era un’impresa ardua non perdersi). Mi disse che anche lui la stava cercando. Iniziammo così a chiacchierare del più e del meno, si poteva comunque parlare a bassa voce senza così disturbare la presenza dell’autorevole silenzio.

Tornai più spesso del solito in biblioteca, quando lo studio me lo permetteva, ed egli fece ugualmente. Discorrevamo un po’ di tutto, della scuola, della nostra famiglia, dei nostri interessi, il suo era la musica, e della città che in quel periodo aveva iniziato ad apportare cambiamenti sul proprio territorio, più di quanto già non facesse..

Più mi avvicinavo a lui, più lo conoscevo, più approfondivo anche il mio legame con la città. Continuammo infatti le nostre ricerche insieme, ed un giorno mi accorsi che i suoi capelli erano marroni e riccioli, solitamente il così detto sesto senso non sbaglia mai.. Sembrava inoltre che la crescita della nostra amicizia, sempre più forte, andasse di pari passo con la città che lentamente si stava trasformando nella città in cui sempre avevo desiderato di vivere.. Ed è proprio vero quel che si dice: che, con tanta volontà, ed un pizzico di fortuna, anche i sogni possono diventare realtà!

Concorso del Comune di Prato “La città che vorrei”, 2005

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